Il murales che rappresenta il nostro quartiere, la nostra Società è un qualcosa di molto importante e significativo.
Per questo abbiamo voluto dar voce a chi lo ha realizzato. A chi, con passione ed impegno, ha dato vita ad un’idea, ad un messaggio che resterà per sempre.
Il primo che intervistiamo è Er Pinto, al quale chiediamo innanzitutto come nasce questa idea:
“Il murales nasce dall’incontro che ho avuto con Simone Morlupo! Davanti a una birra, come i progetti migliori. Io ho giocato per anni a calcio e sento molto vicine le tematiche e l’impegno portato avanti dal Castello. Mi piace la loro filosofia di vivere lo sport popolare. Su queste premesse è nato tutto con Simone che mi ha detto: “Dobbiamo fare un muro al campo, perché non ci scriviamo una poesia?”. “Facciamoci pure un disegno!”, ho risposto io. Così abbiamo iniziato a lavorarci tutti e tre insieme. Io, Yest e Simone per far in modo che tutto funzionasse al meglio”
Qual è l’idea ma soprattutto il messaggio che volete inviare? Il significato ultimo del murales ed ovviamente della poesia:
“Il significato è che in fondo il calcio, lo sport quello puro, genuino e popolare ti insegna e trasmette valori oltre il campo. Aldilà se un bambino diventerà un grande calciaotre, ciò che conta è il senso di appartenenza ad una squadra, dove il compagno si incoraggia e non si rimprovera, dove ci sono degli equilibri, delle questioni che, crescendo, ci accorgiamo rappresentano e si ripropongono nella vita reale, in quella lavorativa. Ci sono tanti ragazzini che non riescono in niente nella vita, poi si mettono gli scarpini, tirano una punizione e la mettono “sotto al sette”. Magari così cominci a capire che nella vita puoi percorrere varie strade e che se scopri qual è la cosa che ti riesce meglio: potresti diventare uno dei migliori “in quel campo”. Capisci quando è il momento di chiedere aiuto e passarla, quando c’è da richiedere un cambio e quando devi smarcarti anche il portiere per buttarla dentro. Esultare tutti insieme, raggiungere l’obiettivo: il goal, come dice la parola stessa in inglese, ti fa sentire forte e ti lega tantissimo a livello umano. Il calcio è molto di più di un gruppo di scapestrati che corrono dietro un pallone”.
In questo contesto, nel mondo dello sport popolare ed più in generale della vita quotidiano, qual è il fine ultimo della Street Art?
“Secondo me il ruolo della street art deve essere quello di comunicare qualcosa. Non dovrebbe essere soltanto un fattore puramente estetico. Si fa per strada perché ha un valore fondamentale intrinseco che è la libertà. Anche se spesso non è più così, perché in alcuni casi c’è un copione da seguire come in tutti gli ambiti in cui l’arte diventa lavoro, credo che l’artista debba sempre ricordarsi che sta lasciando qualcosa in un posto vissuto da altri e quindi chi lo vive deve sentire, capire, provare qualcosa quando vede quel disegno, quella scritta. Non si tratta di far vedere quanto siamo bravi come street artist ma di coinvolgere lo spettatore. Proprio perché è per strada, imponi a chi passa di vederla: quelle persone devono diventare in qualche modo partecipi, sposare un’idea, cambiare prospettiva eventualmente, riflettere, pensare. Poi ormai tutti fanno tutto. Faccio un disegno per strada lo metto sui social sono uno street artist, canto una canzone la metto su Youtube sono un cantante. La gente fa confusione e si lascia confondere. Secondo me sarebbe un po’ da rivedere questa cosa. Bisognerebbe essere meno superficiali e andare più a fondo nelle cose. Invece con una fotocamera e la velocità del web tutto perde un po’ di significato e si normalizza, si appiattisce. Bisogna tornare a far prevalare la sostanzza sull’apparenza.”